Ieri... oggi, è già domani - 10 gennaio 2025, 05:00

"ma sa riscìa i busechi"" - mi si stropicciano le budella

Il monumento in memoria del disastro aereo (foto da https://www.olgiateolona26giugno1959.org)

Il monumento in memoria del disastro aereo (foto da https://www.olgiateolona26giugno1959.org)

Come "primizia" di inizio d'anno …. non c'è male. Giusepèn ha ricordato una frase che fa molto meditare. E' una frase …. ancestrale, dei suoi tempi. Io, tuttavia, la considero una "primizia" e non è un …. ossimoro. Quel "ma sa riscìa i busechi" non è molto fine, ma è una frase eloquente. Che la si usa in molte circostanze. Io, sto solo cercando di metterci ordine.

Discutere di "stropicciarsi le budella" non è da "fine-dicitore", ma val la pena discutere della Parlata Bustocca dentro quel Dialetto "da strada" rustico, roboante, veritiero e …. glorioso. Di solito, si "stropicciano" i cenci, le camicie, gli abiti in genere. Tutto ciò che precede la stiratura. Anche i fazzoletti si "risciano", si stropicciano. Come si "risciano" le maglie, i giubbotti, i pantaloni (tanto per chiarire) che richiedono l'aiuto del ferro da stiro, per ripristinare l'ordine.

Ecco, quando si dice nel Dialetto Bustocco da strada, "ma sa riscìa i busechi" vuol significare che è accaduto "qualcosa" che ha fatto scalpore. Che è andato oltre l'ordine. Che abbisogna di modifica all'andamento degli eventi. Lo scalpore va oltre lo stupore. Uno spavento, ad esempio. Un fulmine che scoperchia i tetti. Un temporale, la cui portata rasenta "ul maencu". Un fiume che straripa, Gli argini che non contengono l'acqua di un fiume in piena. Così, quando si viene a conoscere un "evento eclatante", si usava dire "ma sa riscìa i busechi", come è accaduto nel primo-novecento, al verificarsi di un ciclone a Busto Arsizio che ha prodotto morti.

Ho citato il "maencu" (parola prettamente Ligure - per non dimenticare la nostra discendenza) - ecco, "ul maencu" è l'insieme di lampi, tuoni, vento che imbroglia pure la pioggia, sbattuta qua e là con una certa forza. La cosiddetta "forza della natura" che manipola gli eventi e li rende gravosi sia da affrontare sia quando hanno cessato di procurare danni.

"ul maencu" fa proprio dire "ma sa riscìa i busechi" e sembra di avvertire il trambusto che si manifesta nella pancia, quando gli intestini sono logori e provati …. come dopo aver ingoiato olio di ricino, come ci propinavano i nostri antichi genitori, per purgarci. Quel "fuori controllo" non era logico, come non lo è il "riscia i busechi" che abbisogna di una regolata, per ripristinare una situazione caotica e per nulla piacevole.

Anche di fronte a una marachella, si "risciavano" le budella. Figurarsi, quando la marachella era di una portata superiore: un litigio con percosse, ad esempio, un fallo di gioco cattivo, altro esempio. Ma, le "budella" si sono stropicciati, quando il 26 giugno 1959 un aereo della TWA si è schiantato al suolo, producendo molti morti, dopo un decollo da Malpensa, con meta New Jork. Anche allora s'è sentito parecchio in giro "ma sa riscìa i busechi", come ai funerali, presso la Basilica San Giovanni, quando si sono esposte le bare dei malcapitati viaggiatori. Io avevo 13 anni e quel giorno (erano circa le 14), il cielo di Busto Arsizio era scuro blu-notte e d'improvviso, una saetta di luce aveva portato un chiarore mortale, tetro, metallico, squarciato il cielo, lasciando una scia di luce irriverente, metallica, sino a concludersi con uno schianto atroce, il volo di quel "airone" zeppo di passeggeri, avvenuto in territorio di Olgiate Olona - oggi, in quel luogo, esiste un cippo in memoria del luttuoso fatto. Fu il Comm. Luigi Bandera, insigne personaggio di Busto Arsizio a prendere l'iniziativa. Alcuni di quei passeggeri sull'aereo della TWA gli avevano fatto visita nella sua azienda di Corso Sempione.

Giusepèn mi fa ricordare che per raggiungere la Basilica San Giovanni, qualche giorno dopo, per le esequie, faticammo molto. Lui mi aveva accompagnato in bicicletta sino alla zona del Municpio, poi mi aveva ammonito "mò va ti e …sta tentu" (adesso vacci tu e … stai attento) e il ritornello del "ma sa riscìa i busecchi" era di tutti. L'evento, non solo era tragico, ma pure l'atmosfera che si respirava, la puzza dei cadaveri bruciati, esalava dalle bare e lo stupore della gente superava l'incredulità per quanto era avvenuto.

Confesso: nei libro "ul Giusepèn" e nel suo seguito, il libro "Giusepèn e Maria" sia a Giusepèn sia al sottoscritto, non era venuta alla mente quella frase "stonata, irriverente, volgare" del "riscìa i busechi" ed ora che Giusepèn l'ha fatta emergere dalla memoria, ci ha fatto rivivere un fatto tragico, per giunta accaduto nel giorno del nostro compleanno. Giusepèn compiva 33 anni, io 13 e fummo testimoni oculari dell'evento, insieme agli allora 60.000 residenti (oggi oltre 83.000 sic) di Busto Arsizio. "anca mò …ma sa riscìa i busechi a pensaghi" (anche ora, mi si stropicciano le budella a pensarci) e, per andare oltre lo sconforto, fornisco a Giusepèn qualcosa di carino: "chèla bràa tusa là, l'à ma purtò 'l Nocino" (quella brava signora, mi ha portato una bottiglia di Nocino) - "par nogn, Giusepèn" (per noi)  e per corroborare quel ricordo infausto, ne sorseggiamo un … congruo bicchiere. "Dighi grozie, ma racumandu" (dille grazie, mi raccomando).

Gianluigi Marcora

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