«Vi sono dei soggetti che sembrano refrettari ad ogni proposito onesto. E che perciò? Dovrà la società abbandonarli? Dovrà chiudere gli occhi, al pericolo continuo del quale si vede minacciata, non curandosene?». Queste parole sono così contemporanee, porgono cioè oggi il medesimo valore di riflessione e di scossa alla nostra società, ma sono state scritte il secolo scorso. Da chi? Da un personaggio che solo la positiva ostinazione della Croce Rossa di Busto Arsizio e di uno storico ha sottratto all'oblio. Si tratta infatti dell'avvocato Giacinto Tunesi, uno dei primi presidenti del tribunale della città.
Il busto misterioso
La sua riscoperta ha dell'incredibile e ora lui otterrà il giusto merito, la giusta riconoscenza, con una cerimonia che avverrà martedì 3 dicembre nella sala biblioteca del tribunale, cerimonia ribattezzata "Un'identità una storia": il suo busto verrà infatti riportato lì, a casa. Prima di allora, la statua era stata nella vecchia sede della Croce Rossa in via Castelfidardo (oggi la casa della Cri è in via Savona), ma dell'identità si era persa la memoria.
« Da più di quarant’anni giaceva presso gli Uffici della vecchia Sede di Croce Rossa un busto in bronzo raffigurante un personaggio con i baffi, dall’aria bonaria, dall’identità sconosciuta - ricostruisci infatti il Comitato di Busto Arsizio - Per anni in Croce Rossa ci siamo domandati chi poteva essere quel signore così imponente; si è pensato ad un vecchio presidente del Comitato ma i tratti somatici non assomigliavano ai volti raccolti negli album di vecchie fotografie. Si è pensato a qualche benefattore, ma chi?».
L'impresa di dare un nome a quel signore sembrava impossibile. Ma spesso sono gli incontri a fare la differenza: entra nella sede uno storico locale, Paolo Ferrario, e indaga. Prende nota dello scultore, Alessandro Laforêt, e avvia le sue accurate ricerche. Ne è seguita l'emozionante scoperta: si trattava di uno dei primi presidenti del tribunale di Busto. L'avvocato Giacinto Tunesi, che ricoprì l'incarico per ben 15 anni, dal 1901 al 1916. Se è stato un piacere e un dovere ridare identità a quella presenza, ancora più appassionante ricostruirne i tratti. Perché è emerso come il presidente fosse un uomo dalla vita esemplare, uno che credeva nel proprio ruolo e lo interpretava come una missione. E le missioni, si sa, non possono finire. Difatti, una volta terminato l'incarico, si è preso a cuore le persone che uscivano dal carcere perché avessero una sistemazione e una possibilità di rinascere, come pure i ragazzi in contesti familiari delicatissimi.
Restava un punto interrogativo: ma come è potuto arrivare in Croce Rossa quel busto? Anche l'ultimo dubbio viene chiarito: i mobili della presidenza della Cri, arrivano da un locale di Palazzo Cicogna. Lì oggi ci sono la biblioteca e le civiche raccolte d'arte, ma un tempo quegli spazi appartenevano al tribunale. C'era vicino il vecchio carcere e chi ha qualche anno in più si ricorda che la piazza era chiamata dalla gente “della Giustizia". Con i mobili donati c’era appunto quel busto in bronzo, già presente al cimitero cittadino in una tomba che era stata poi rimossa, si spiega.
Una vita e un esempio
Il ritratto nasce dalla ricostruzione meticolosa che dobbiamo a Paolo Ferrario. Giacinto Gaetano Antonio Tunesi era nato a Crema il 21 luglio 1846 da Paolo e Carolina Marzagalli. Successivamente la famiglia si trasferì a Varese, quindi lui si laureò in Giurisprudenza a Pavia. Sposò una varesina, Erminia Bianchi Bellinetti ed ebbero tre figli. Nel 1874 l'avvocato divenne il segretario della Camera di Commercio di Varese e per tre anni anche il redattore responsabile di Cronaca Varesina-Rassegna della Camera di Commercio e Arti. La sua attività giudiziaria durò quarant'anni e interessò Varese, Bormio e Morbegno, Treviso, Milano, L’Aquila. Busto fu l'ultima tappa e lì rimase fino alla morte, abitava in via Da Vinci. Presidente del tribunale penale e civile, chiuse questo cammino il 19 luglio 1916, con una cerimonia modesta - in linea con la sua figura - e ricevette dai colleghi e dagli avvocati una medaglia d'oro, coniata da Donzelli e una pergamena del professor Angelo Bovo. Il tutto con un discorso appassionato di Giuseppe Rossi, presidente del Collegio degli avvocati.
La sua nuova vita stava cominciando, con gli stessi valori, lo stesso slancio ideale ma non astratto, bensì calato nella concretezza delle esigenze dei tempi e delle persone. A partire dalle più fragili. Una volta in pensione, infatti, guidò il “Patronato Liberati dal Carcere e per i Minorenni condannati condizionalmente del Circondario di Gallarate”. Un impegno che lo vede presente in prima persona accanto a chi usciva dal carcere e cercava di riprendere in mano la propria vita. «Lo Stato crede bastare infliggendo condanne. Ma le pene, ben di rado raggiungono lo scopo a cui mirano - diceva nella Relazione morale economica - Il condannato, a pena espiata, finisce ad essere peggiore di prima, se non è vegliato, soccorso, e guidato da particolari istituzioni, quali sono i Patronati per i Liberati dal carcere. È questo che crediamo opera nostra, è questo che dobbiamo fare; non mai abbandonare cioè a se stesso, lo scarcerato, per quanto si mostri restio, alle amorevoli cure, dalle quali è circondato».
Alla sua morte, avvenuta a ottant'anni, La" voce del Popolo" gli rese merito «per la sua probità, per la sua equanimità, per la sua rettitudine... religiosissimo, della sua fede non disdegnava le pubbliche manifestazioni, non quelle coreografiche, ma quelle profondamente sentite e culminanti nel banchetto eucaristico». Ha ricevuto molte onorificenze, l'avvocato Tunesi, ma soprattutto la gratitudine di Busto. Gratitudine che arriva fino ad oggi, con questa bella pagina di storia che si lega al presente.