Eliminazione della soggezione della moglie al marito, divorzio, abolizione della patria potestà, uguaglianza nell’istruzione, voto amministrativo e politico, abolizione dei regolamenti sulla prostituzione. Sono alcune delle battaglie portate avanti da Anna Maria Mozzoni, la pioniera del movimento di emancipazione femminile. Vissuta a cavallo tra 1800 e 1900 già ai tempi si era battuta per i diritti alle donne.
Di lei parla Daniela Franchetti, direttrice Unitre Tradate, mercoledì 6 novembre alle 15.30 al Museo del Tessile nell’ambito dell’Università cittadina per la cultura popolare.
Traccerà il quadro di una donna, Marianna detta Anna Maria Mozzoni (1837-1920), milanese di nascita, di famiglia colta, di origini aristocratiche ma di modesta ricchezza che passò molto tempo a Rescaldina con la famiglia, da cui mutuò gli ideali risorgimentali. «Dopo gli anni infantili in Collegi – spiega Franchetti - perfezionò la sua formazione da autodidatta. Apprese bene l’inglese e il francese e lesse gli illuministi francesi e lombardi, i romanzieri contemporanei, Mazzini. Tradusse il testo di John Stuart Mill, La servitù delle donne. Iniziò presto a battersi per l’uguaglianza dei diritti tra donne e uomini, rifiutando la pretesa “naturalità” del ruolo tradizionale subalterno e domestico della donna».
La sua prima opera politica risale al 1864, La donna e i suoi rapporti sociali. In quel periodo si stava approntando il Nuovo Codice Civile, che vide la luce nel 1865». Delusa per il testo finale, iniziò assieme al deputato salentino Salvatore Morelli una serie di battaglie per l’eliminazione della soggezione della moglie al marito, il divorzio, l’abolizione della patria potestà, l’uguaglianza nell’istruzione, il voto amministrativo e politico, l’abolizione dei regolamenti sulla prostituzione. Nel 1869 iniziò la collaborazione con il giornale fondato e diretto dalla mazziniana Gualberta Alaide Beccari, “La donna”.
«Risale al 1877 la prima Petizione al Governo Depretis per la concessione del voto amministrativo alle donne – prosegue - Gli argomenti erano quelli illustrati nel suo Del voto politico delle donne, opera in cui contestava i più tipici pregiudizi sull’incapacità politica delle donne. Nel 1881 fondò a Milano la “Lega per la promozione degli interessi femminili” che aderirà al Partito operaio, fondato nel 1882».
In quegli anni collaborò all’inchiesta agraria promossa da Agostino Bertani e, studiando la dura vita dei contadini, maturò una maggiore sensibilità nei confronti della questione sociale. «Si avvicinò al nascente Partito socialista – precisa - collaborando alla “Critica sociale”. Si distanziò tuttavia dalle posizioni dei socialisti che a suo avviso avevano accantonato la questione dell’uguaglianza dei sessi, considerata secondaria, da inglobare nella primaria questione economica. Polemizzò con la Kuliscioff per l’impianto della legge del 1902 che proteggeva il lavoro delle donne e dei fanciulli. A suo avviso, infatti, differenziando il trattamento delle donne, anziché aiutarle le rendeva più deboli sul mercato del lavoro».
Nel 1906 scrisse la Petizione delle donne al Senato del Regno e alla Camera dei Deputati per il voto politico e amministrativo. Furono raccolte 10.000 firme ma anche questa volta il Parlamento non approvò il provvedimento. Nel 1915 fu interventista per tradizione risorgimentale. Morì a Roma senza aver visto realizzato il sogno della cittadinanza piena per le donne.