Opinioni - 25 ottobre 2024, 19:00

Un secolo di stazione tra nostri ricordi, emozioni, arrabbiature. Con due "riti" diversi e una speranza

Tanti sono gli episodi che ciascuno porta dentro di sé a Busto. Noi ripensiamo a quel risveglio miracoloso per Expo, quando la Centrale era gremita anche sotto le stelle. E siamo grati al movimento silenzioso dei volontari per aiutare i senzatetto

Un secolo di stazione tra nostri ricordi, emozioni, arrabbiature. Con due "riti" diversi e una speranza

Ognuno di noi ha ricordi che sfrecciano o procedono lentamente sui binari. La stazione Centrale di Busto Arsizio compie 100 anni (LEGGI QUI per le celebrazioni) e ogni bustocco o bustese ne ha condiviso un tratto.

Ne ha vissuto i diversi volti e su quelle banchine ha accumulato emozioni, gioie, incavolature. Sono momenti personali: io ripenso ai primi viaggi indipendenti con la compagnia al lago Maggiore, a volte in centro a Milano (ma lì entrava in gioco la Nord, che oggi non esiste più ed è stata soppiantata dallo scalo nuovo, aggettivo già intaccato dal tempo) o il primo concerto rock oltre frontiera: le varie tappe prima di arrivare in Svizzera anticipate dall’arrivo di un treno dall’apparenza così magica quando ancora Harry Potter non esisteva. 

La poesia e la quotidianità non vanno d’accordo: il ritardo o il disguido rubano la scena oggi per lo più all’aspetto emozionale e più spesso gli arrivederci con qualche lacrima avvengono agli aeroporti. Ma forse, non si usano più molto anche questi.

Ci sono due elementi però che mi fanno riflettere, in modo differente. Che in modo differente ci raccontano una speranza.

Il primo conduce a un passato mica poi così lontano: nove anni fa. Che cosa accadde allora? C’era Expo2015 a Milano. Ecco, in quei mesi la Centrale di Busto si era completamente trasformata. Non era più la stazione “arresa”, con il vuoto la sera e i bagni perennemente chiusi per non dare spazio ai vandali (ma intanto chi ci rimetteva era il viaggiatore perbene). Con i treni in partenza per e di ritorno da Rho Fiera, si assisteva a un fermento continuo: famiglie e persone di tutte le età che si mettevano in viaggio per trascorrere ore diverse alla scoperta di Paesi lontani ma dietro casa. Niente male per una città che ha esportato nel mondo grazie a Enrico Dell’Acqua, come ricorda il monumento proprio di fronte allo scalo. Dopo le dieci c'erano uscite alternative per consentire di smaltire tutto quel flusso di persone mai visto sotto le stelle.

Dalle statistiche di Trenord di allora, i bustocchi erano sul podio per frequentazione di Expo via binari, dopo gli abitanti di Treviglio e di Novara durante il mese di agosto. Molto più facile prendere il treno, veloce e anche conveniente (argomento su cui siamo storicamente imbattibili, in città) per raggiungere l’Esposizione universale. Senza scordare la sicurezza che si respirava, come in tutte le occasioni in cui la gente vive gli spazi e non li lascia deserti alla mercé dei malintenzionati.

Era un segnale meraviglioso di vitalità sui treni (ricordo che ne parlammo anche nel libro “Expo, nessuno uscirà uguale da qui”, insieme a Raffaele Nurra con diversi, autorevoli contributi) e la Centrale di Busto sembrava trasformata. Ma come Cenerentola, suonata la mezzanotte del 31 ottobre 2015, la magia è evaporata.

Così la stazione è tornata alla sua routine.

Anche rifugio di chi non ha un tetto, finché non sono state tolte le panche nell’ingresso. Fuori dallo scalo, è nato il dormitorio, intitolato a Franco Mazzucchelli, e nella sala vicina avviene con costanza un altro rito che ai più sfugge. Senza rumore, ma con tanto cuore: è l’Unità di strada della Croce Rossa che porta cibo, abiti, amicizia. Con l’aiuto degli alpini e di altre realtà.

Dura poco, quel rito, ma non viene meno mai e si è svolto anche durante la pandemia. Quando si presenta il mezzo della Cri, pure durante la settimana delle festività natalizie o di ferragosto, il piazzale prende vita. Accorrono uomini e donne che si fermano a mangiare un piatto caldo o prendono un panino da portare via, che chiedono una maglietta o sognano un paio di scarpe. Che ricevono un abbraccio e ripartono sentendosi meno soli.

Anche questa è la stazione Centrale, anche questo accompagna per un tratto il suo cammino lungo un secolo.

Marilena Lualdi

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