Con "rèla", nella Lingua Bustocca, si intendono "due cose "specifiche. Ne chiedo conferma a Giusepèn che esprime subito "movimenti di assenso" ciondolando il capo, come spesso si faceva una volta. E subito, Giusepèn "circonda" il significato della parola, con esempi personali.
E si comincia col gioco: "a rèla" per l'appunto. Si prendeva un legno di albero; possibilmente di abete, lunghezza 15 cm. (più o meno) e lo si appuntiva alle due estremità, con un coltello non proprio da cucina, ma più somigliante a un pugnale tagliente. Si prendeva un legno possibilmente dritto, dalla lunghezza di almeno un metro, ma non lungo più di tanto e si cominciava il gioco, con almeno due contendenti.
La pratica voleva che si doveva essere ritti in piedi, si pendeva la "mazza" (il legno di un metro circa), lo si "picchiava" (letteralmente, ma con una forza-moderata) su una delle due estremità appuntite e si attendeva quei pochi attimi che il pezzo di legno roteasse davanti al battitore che aveva il compito di colpirlo e scagliarlo il più lontano possibile. Ovvio che a vincere era colui che lanciava "l'attrezzo" più in là degli altri contendenti (almeno due - ma alla "relà" si poteva giocare in tre, in quattro e anche in cinque, ma dopo, per la questione dei "tempi" morti" il gioco sarebbe calato di interesse.
Unico "pericolo", sbattere la mazza contro i vicini contendenti oppure "non sapere" dove andasse a terminare il proprio "volo", l'attrezzo appuntito , dopo l'impatto di forza. Chiaro che le mamme non è che apprezzassero molto questo "passatempo", ma …. lontano dai loro sguardi, qualche partita alla "rèla" se l'hanno fatta tutti quei ragazzi.
E veniamo alla "rèla" più seria. Era sulla bocca di tutti e commentava sia la "recessione" del 1929 in Wall.Streat sia quella del Dopoguerra che coinvolgeva le famiglie (non solo italiane) per la penuria di "tutto" e per la RICOSTRUZIONE iniziata nel 1946 con il Piano Marshall voluto dagli USA.
Giusepèn traduce subito e bene il leit-motiv di allora: "ghe 'n giru 'na rèla ca l'è se semezza" (c'è in giro una povertà che è sufficiente, mezza) - la distruzione e le ristrettezze cominciate a fine 1939 e, per l'Italia nel 1940 (entrata in guerra), furono avvertite da subito. L'evento bellico richiedeva tante risorse e le spese da sostenere erano enormi.
Inoltre, per una Società contadina di allora, togliere tante "braccia" all'Agricoltura, voleva significare "scarsità di raccolti", lavori nelle stalle, precari, sacrifici per le "masèe" (donne di casa) incredibili, per il semplice fatto che non esistevano i "mezzi d'aiuto" meccanici come la lavatrice o il microonde, con tutte quelle "invenzioni" che la gente non poteva permettersi. La "rèla" rappresentava la miseria e "tan sberlài a buca" (il mangiare era scarso) e la gente si toglieva il pane di bocca (peraltro razionato) pur di superare quei terribili momenti.
Giusepèn non ha timore a dire che tuttora, i vecchi Bustocchi rimasti, tirano in ballo la "rèla" ma non per il gioco (ornai desueto) che i giovani d'oggi nemmeno ipotizzano di continuare. "Mei inscì" (meglio così) catechizza Giusepèn "se da non a lista dùu Uspedò l'à sa ingrossa" (altrimenti la lista dei ricoveri in Ospedale, si ingrossa) per motivi ben intuibili.
Quindi, meglio sdrammatizzare e pensare che la "rèla" vissuta dai nostri nonni e dai nostri padri, oggi non la si avverte come loro l'hanno avvertita. E il Benessere che Nonni e Padri ci hanno donato non va dimenticato e... fatemelo scrivere con tutta l'anima, lo scopo di avere incentivato lo studio sul Dialetto Bustocco da strada, serve proprio da monito alla Società odierna, affinché "a rèla" non abbia più a ripetersi e pure per dire Grazie con l'anima a chi, nei sacrifici, ci ha donato Benessere e Valori Morali - Giusepèn, ghe chi 'l Nocino e il cin-cin lo si può attuare, proprio per il fatto che la "rèla" è sconfitta e che, non abbia più a ripetersi.