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Cultura | 12 aprile 2025, 09:00

VIDEO. Carlo Meazza e il respiro del Monte Rosa: un viaggio tra fotografia, memoria e passione al Cai di Busto Arsizio

Un viaggio fotografico e interiore lungo le pendici del Monte Rosa, tra memoria, passione e cambiamento. Carlo Meazza presenta il suo libro “Monte Rosa”, frutto di una vita dedicata alla montagna e all’arte dello sguardo. Tra immagini evocative e riflessioni profonde, emergono il fascino eterno del Rosa e le ferite del presente

Carlo Meazza e il "Monte Rosa"

Carlo Meazza e il "Monte Rosa"

Non c’è nulla di simmetrico, eppure è tutto in ordine.” Questa frase, che Carlo Meazza sussurra quasi con pudore davanti alle immagini del Monte Rosa, è il cuore pulsante della sua ultima opera fotografica. È più di un libro: è una dichiarazione d’amore per la montagna, una testimonianza poetica di come lo sguardo e l’anima possano fondersi con la natura. La sala del Cai di Busto Arsizio, gremita in ogni posto, è testimone del legame profondo che unisce l’autore a chi condivide la stessa vertigine davanti all’infinito. La serata si apre con un video potente, immersivo, che mostra il Rosa nelle sue stagioni, colto da ogni angolazione: da Milano, dal lago di Varese, dal casello di Besnate della Milano laghi, dai sentieri nascosti. Lì, tra immagini e parole, si comincia a percepire che per Meazza la montagna non è solo paesaggio: è destino.

Il video

Il silenzio scende nella sala appena si accendono le immagini. È un viaggio visivo che toglie il fiato: il Monte Rosa si staglia all’orizzonte, maestoso e familiare, in un dialogo intimo con lo sguardo dell’obiettivo. Non è solo una carrellata di panorami mozzafiato, è la dimostrazione di quanto la fotografia possa diventare ascolto. “L’autore si confonde con la natura”, si sussurra tra il pubblico. Meazza stesso lo dice: «La montagna è in me, la ascolto». E il video è la sua voce, fatta di silenzi, luci oblique e nebbie che velano e svelano.

Il Monte Rosa è una passione

Non una semplice attrazione, ma una vera ossessione gentile, nata nell’infanzia. Il padre di Carlo, alpinista, gli raccontava del Rosa come si racconta una favola: con rispetto, con stupore. Quelle storie hanno scavato un sentiero nella sua anima, conducendolo fin da ragazzo a Macugnaga, al rifugio Zamboni, al Lago delle Fate. «Era una vocina che mi diceva che prima o poi ci sarei andato», racconta. E così è stato: trentadue anni fa la prima edizione del libro, oggi una nuova, aggiornata, che raccoglie un’esistenza intera dedicata a quella cima. D’estate, privo di neve, il Rosa sembra “sofferente”, dice Meazza. Ma la passione rimane inalterata, come un fuoco che non si spegne.

Monte Rosa, ieri e oggi

Il tempo scorre anche sulle montagne, ma lascia tracce preziose. Il capitolo “Ieri e oggi” è un omaggio al passato, alle persone che hanno condiviso con Meazza il cammino, lo sguardo, il silenzio. Vecchie foto in bianco e nero mostrano volti di amici, compagni di escursioni, uomini e donne che la vita ha portato altrove. «Forse c’è una malinconia di fondo – confida Meazza – ma è una malinconia dolce, piena di tenerezza». Alcuni li ha rintracciati, cercati nei luoghi della memoria. Un lavoro da sociologo, mestiere di formazione, ma con l’occhio e il cuore da fotografo. Il suo racconto diventa così anche un racconto di comunità, di cambiamento, di nostalgia che sa trasformarsi in luce.

La fotografia

«La fotografia racconta in silenzio storie, perpetua la memoria, ferma l’attimo e lo rende eterno». Meazza parla della fotografia come di una magia. Inizia con una Nikon e rullini preziosi: ogni scatto un rischio, ogni errore un costo. Oggi il digitale offre libertà, ma forse toglie un po’ di quel rispetto per l’istante. Lui, invece, lo ha sempre cercato: lo sviluppo in bianco e nero, poi le stampe a Milano. La fotografia è il suo modo per toccare il mondo: «Quando fotografo, mi sento dentro le cose». Dietro l’obiettivo, è tutt’uno con ciò che guarda. E da lì parte anche la sua avventura nel mondo: Nepal nel ‘69, Afghanistan nel ‘79, Sudan, Uganda… immagini che raccontano anche il suo stupore, la sua commozione. Oggi, a 80 anni, sogna una monografia dei suoi viaggi. E consiglia ai giovani: «Seguite la vostra passione. Anche se non porta reddito, porta senso».
 

L’arretramento dei ghiacciai

Ma non tutto è rimasto immobile come le rocce. La montagna cambia, soffre. I ghiacciai si ritirano, lasciando dietro paesaggi lunari. L’Indren ne è un esempio evidente, come il sentiero verso lo Zamboni dopo il Belvedere a Macugnaga. Meazza osserva con tristezza, ma anche con gratitudine: almeno, dice, «non sono state fatte devastazioni». I suoi luoghi del cuore – il Vallone di Loo a Gressoney, Alagna, la Val d’Otro – sono ancora rifugi dell’anima. La montagna continua ad accoglierlo, a proteggerlo, a suggerirgli pensieri vaghi e pieni. «La montagna non ha significato – dice - la montagna è significato». È lì che la fotografia diventa memoria, preghiera, contatto.


Conclusione

Carlo Meazza non ha solo fotografato il Monte Rosa: lo ha vissuto, pensato, amato. Nel suo libro c’è un tempo che non passa, un silenzio che parla, una montagna che è casa. E in ogni immagine, un pezzo di lui resta impresso, come un’impronta lieve sulla neve. 

Laura Vignati

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