Eventi | 09 aprile 2025, 07:33

VIDEO. Quel batticuore al Salone del Mobile. Così Sorrentino invita a fermarsi, anzi a lasciarsi trasportare

Dopo la stanza per pensare di Lynch, quest'anno è toccato al regista italiano premio Oscar consegnare il suo messaggio. E l'ha fatto rileggendo l'attesa: com'è, come dovrebbe essere e come ci può cambiare. Un'altra esperienza da vivere a fondo a Rho

VIDEO. Quel batticuore al Salone del Mobile. Così Sorrentino invita a fermarsi, anzi a lasciarsi trasportare

Corrono giorni in cui si accoglie il mondo, con il batticuore di chi sa di aver espresso il meglio ma di doversi confrontare con un cambiamento impetuoso. Ma c’è un altro batticuore, al Salone del Mobile di Milano (fino al 13 aprile, LEGGI QUI), simbolico e concreto: è quello dettato dalla cultura e trasmesso dalla creatività di un regista.

Con un pizzico di malinconia, che scaturisce dalla sua recente scomparsa, ricordiamo il messaggio consegnato da David Lynch lo scorso anno in fiera a Rho: tracciò una stanza dove pensare, dove non sottrarsi da tutto bensì riviverlo con tutti i sensi, in altre dimensioni interiori (LEGGI QUI).

Oggi, in un Salone che ha messo al centro “Thought for Humans.”, con Dentsu Creative Italy e l’artista fotografo americano Bill Durgin, prosegue quell’esigenza, quell'urgenza di fermarsi mentre tutt'intorno scorre un fiume di persone, non in nome di un contrasto. Piuttosto, tessendo un’armonia.

Questo ambiente si nutre di lavoro, ordini, contatti, ma ha bisogno di anche di un alimento vitale, che è la cultura.  Si può così trovare l’esperienza commovente di Robert Wilson con Mother, che vibra dalla Pietà Rondanini a Milano, come pure altri esempi.

L'esperienza tra batticuore e fiducia

Nel cuore del Salone a Rho, l’incontro con Paolo Sorrentino inizia proprio con un batticuore che chiama nel buio in uno spazio tra i padiglioni 22 e 24. Si chiama “La dolce attesa”, l’installazione realizzata con la scenografa Margherita Palli e con Max Casacci (fondatore dei Subsonica, musicista e ingegnere del suono): quando il visitatore viene condotto nell’ascensore e sale per pochi, infiniti secondi non sa cosa aspettarsi.

All’improvviso, la tensione si scioglie in un’atmosfera avvolgente e carica di calore grazie ai colori. Volti gentili, immersi in quella luce, invitano a sdraiarsi su una poltrona e a lasciarsi trasportare. Non c'è nulla da fare, tranne aspettare, forse fidarsi. Con stupore, mentre si viaggia in questa particolare e comoda modalità all’interno della stanza, si mette a fuoco chi interpretano queste persone. La scritta “Cardiologia” sulla porta che si apre, il bigliettino che si era preso (come quelli che si trovano negli uffici pubblici o nei negozi per prenotare il proprio turno) viene restituito e si può andare.

La dolce attesa è lì dentro, come anche prima, quando il battito cardiaco esercitava il misterioso richiamo, ma sorprendentemente si è rivelata più amichevole.

Le parole di Sorrentino

Così il Salone ha riportato le parole del regista: «“Con “La dolce attesa” parliamo dell’attesa di un responso medico. Quel tipo di attesa diventa una sospensione. Rimaniamo appesi. Fermi, tesi, nervosi. E angosciati. E la sala d’attesa, così come è stata concepita fino a oggi, è solo un’amplificazione dell’angoscia. Tra pareti bianche, sedie scomode, monitor che proiettano numeri, impiegati scontrosi, si finisce per accanirsi ossessivamente sullo smartphone».

Sorrentino ha voluto dunque provare a ripensare l’attesa: «Ingannarla. Viaggiare e perdersi nel viaggio come in un vago senso di ipnosi. Così, forse, aspettare può diventare meno penoso. Perché diventa altro. La nostra sala d’attesa vuole essere un’altra cosa. Non ti costringe a star fermo, ma ti lascia andare. Un piccolo viaggio, come da bambini, su giostre rassicuranti. Da adulti, i cavallucci sono diventati poltrone come gusci, come ventri materni. Gli impiegati riluttanti sono sostituiti da uomini e donne che ti riconciliano con un’idea di tranquillità. Ti sorridono e sanno regalare una carezza paterna».

C’è qualcosa, verrebbe da dire qualcuno, che intanto attira lo sguardo nella stanza e ipnotizza: «La vista si concentra su un coacervo di vetri smerigliati che occultano, deformano, l’unico elemento che, se continua a battere, ci allunga la vita. È il cuore. Nascosto, misterioso, eppure lui è lì, a ricordarci che non è ancora finita».

Si esce e ci si rituffa nella marea umana della fiera, con l’attesa che si scioglie eppure lascia l’eco dentro di sé.

IL VIDEO

Marilena Lualdi

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