Cultura - 09 aprile 2025, 08:31

Al Manzoni risate e genovesità con Tullio Solenghi. «Una stagione impegnativa ma positiva che ora si chiuderà in nome di Mina»

Ultima serata per la stagione teatrale del palcoscenico di San Michele con “Pignasecca Pignaverde” e un brillante Tullio Solenghi. Ironia e dialetto genovese per una commedia tutta incentrata sull’avarizia, accolta da applausi e risate. Marco Bianchi saluta il pubblico e ricorda un fuori abbonamento il 29 aprile.

Sipario aperto per l’ultima serata della stagione al Teatro Manzoni, che ha chiuso col botto – anzi, col portafoglio ben chiuso – con lo spettacolo “Pignasecca Pignaverde” interpretato da un irresistibile Tullio Solenghi. Uno spettacolo che ha fatto il “pienone” a metà: 300 spettatori hanno "riempito" la sala, pronti a godersi una serata all’insegna dell’ironia e della parsimonia, quella tutta genovese.

Prima dell’inizio, l’organizzatore della rassegna, Marco Bianchi, ha ringraziato calorosamente (senza risparmiare entusiasmo, almeno quello) il pubblico, gli abbonati e i volontari: «È stata una stagione impegnativa, ma positiva per la qualità dell’offerta. Stiamo già pensando alla prossima… ma non possiamo dire nulla: aspettiamo conferme dalle compagnie. Però, vi ricordo, il 29 aprile ci sarà un tributo a Mina, fuori abbonamento. Gli abbonati avranno uno sconto». Ovviamente. Un’ultima chicca per chiudere in bellezza, e magari aprire un po’ il portafoglio.

Sul palco, la scenografia colpisce: elegante, grigia, con pareti d’epoca, quadri in bianco e nero e un camino che più che riscaldare l’ambiente, sembra custodire segreti… e magari qualche lira nascosta da Felice, il protagonista tirchio interpretato da Solenghi. Il suo ingresso è accolto da un applauso caloroso e da subito, tra una battuta e l’altra, si delinea il tema centrale: l’avarizia. Ma non quella noiosa o da manuale di economia. Qui si ride. Eccome se si ride.
Il testo è un continuo gioco di doppi sensi, dialetto genovese che si scontra con l’italiano, e battute che fanno centro, soprattutto quando toccano corde fin troppo familiari: sigari nascosti come tesori, vino annacquato con l’arte del sommelier dell’Accademia della Stretta (di mano, ovviamente), pretendenti spiantati ma ambiziosi, e una servetta vivacissima che ruba la scena a ogni uscita.

Il pubblico, divertito e complice, ha riso di gusto. Perché sì, ridere dell’avarizia genovese è come parlare male della propria famiglia: si può fare solo se si è parte del club. Al termine Solenghi ha fatto presente che il pubblico bustocco era il primo "straniero", dopo una "ricca" stagione sui palcoscenici di tutta la Liguria, ma, nonostante i bustocchi fossero forestieri hanno apprezzato la "vis comica" della pièce.

Con questo spettacolo, il teatro Manzoni chiude una stagione generosa – di emozioni – e già promette nuovi appuntamenti. Perché si sa: magari il genovese può essere ritenuto tirchio, ma con il teatro… spende volentieri. Soprattutto se c’è lo sconto.

Laura Vignati