«Il tempo trascorso, 4 anni (tutta la vita del bambino, non una parte) ha inevitabilmente stravolto quello che era un affido temporaneo, e ciò non per una responsabilità imputabile né ai genitori affidatari, né al bambino, tenendo conto anche della necessità di garantire il diritto alla salute soprattutto mentale, alla serenità e alla continuità affettiva, di cui apparentemente sembra non ne sia stato preso atto. Era pertanto così necessario e davvero obbligatorio far scontare la sofferenza per tale condizione alla famiglia e al bambino? Era davvero necessario muoversi così?».
Lo sottolinea il Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza Riccardo Bettiga, intervenendo così sul caso di Luca (nome di fantasia) che era stato affidato nel 2020 a una coppia residente in un Comune della provincia di Varese quando aveva solo un mese. Avrebbe dovuto restare con loro per un "progetto ponte", quindi per un tempo limitato, ma di fatto è rimasto quattro anni, prima che il Tribunale per i Minorenni di Milano ne decretasse l'adozione e il suo inserimento in una nuova famiglia adottiva, diversa da quella con cui aveva vissuto fino a quel momento e che a sua volta aveva chiesto l'idoneità all'adozione.
«Prima che la vicenda avesse forte risalto mediatico, fu correttamente segnalata all’Ufficio del Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza della Regione, ed è indicativo il fatto che a fronte di una immediata richiesta di chiarimento il Tribunale per i Minorenni di Milano non abbia fornito alcuna risposta - spiega Riccardo Bettiga-. Certamente il Tribunale e la Procura sono organi che prendono le proprie legittime decisioni in modo indipendente i dall’eventuale “esposizione mediatica” o da qualsivoglia richiesta del Garante, e non hanno l’onere di fornire spiegazioni: resta però il fatto che la gestione di questo caso suscita grandi perplessità e amarezza per le conseguenze che ha avuto sul bambino e sulle persone coinvolte».
«E’ chiaramente comprensibile lo sconforto e il dolore della coppia a cui il bimbo era stato affidato inizialmente - sottolinea ancora Bettiga - ora che dovranno dire addio al bambino che per quattro anni è cresciuto con loro e i loro tre figli: trovo possano esserci ragioni fondate nella possibilità di riconoscere la «continuità affettiva» con la famiglia affidataria, tanto più che il bambino dopo il distacco ha evidenziato in reazione disturbi comportamentali evidenti e un profondo malessere fisico e psicologico. Ricordo infine che il collocamento del minore presso la coppia adottiva, se effettuato senza garantire la continuità affettiva, senza un ascolto adeguato, senza adeguate spiegazioni al minore stesso e senza una transizione graduale, può costituire una violazione di numerosi diritti fondamentali così come sanciti dalle convenzioni internazionali».
Secondo gli ultimi dati ufficiali del Ministero del Lavoro che risalgono alla fine del 2022, i minorenni allontanati dalla famiglia di origine sarebbero 33.299. Di questi 15.218 vivono “in una qualche forma di affidamento familiare”.