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Busto Arsizio | 07 marzo 2025, 07:40

La cura fino alla fine: «Così lottiamo per il malato e la sua qualità della vita»

L’incontro, organizzato dalla Lilt e molto partecipato, ha fatto riflettere il pubblico sulla vita e sulla morte, sulle cure palliative, sull’importanza dell’ascolto, della vicinanza e dell’accompagnamento del malato. «Si fa educazione sessuale alle elementari, ma se muore un nonno i bambini vengono allontanati»

La cura fino alla fine: «Così lottiamo per il malato e la sua qualità della vita»

In una società che cerca di non pensare all’inevitabile tappa del decesso, ecco che arriva “La cura della vita fino alla fine”, l’incontro pubblico tenutosi ieri sera, giovedì 6 marzo, ai Molini Marzoli, organizzato dalla sezione provinciale della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori in collaborazione con l’Istituto La Provvidenza e le associazioni Mai Paura, Amici di Rossella e Stella Polare e con il patrocinio dell’Amministrazione comunale di Busto e dell’Asst Valle Olona.

Numerose sono state le autorità presenti, a cominciare dal sindaco di Busto Arsizio Emanuele Antonelli e dal presidente della commissione regionale Welfare Emanuele Monti (Lega) che in un breve intervento ha sottolineato l’importanza dei servizi, rilevando come, benché ormai tutti nascano assistiti, non tutti muoiono assistiti.

Il primo relatore, il professor Ivanoe Pellerin, presidente di Lilt provinciale, si è focalizzato sul tema “vivere con le cure palliative”, evidenziando come queste ultime «non combattono contro la malattia, ma per il malato e la sua qualità della vita».

Pellerin ha anche messo in luce come la morte un tempo facesse maggiormente parte della vita. «Oggi invece – la sua riflessione - si fa educazione sessuale alle elementari, ma se muore un nonno i bambini vengono allontanati». Perdendo così un’esperienza fondamentale della vita.

“Vivere tra scienza e coscienza” è stato il titolo della relazione del dottor Luciano Orsi, medico palliativista. Fondamentale, a suo parere, è l’accettazione del limite. «Dobbiamo reimparare ad accettarlo – ha dichiarato - e a pensare alla morte perché poi quando arriva non abbiamo gli strumenti».

Anche perché, ha spiegato, l’uomo ha la capacità di saper gestire la morte propria e altrui. Il problema è che «l’eccessiva ubriacatura di scienza e tecnologia – le sue parole - rischiano di farcela perdere. Bisogna permettere che ad un certo punto la morte arrivi».

E poi che cosa sono il bene e il male di un paziente? «Non lo si può sapere se non lo si chiede a lui» ha detto. Perché al centro devono esserci gli ammalati, non i famigliari e i sanitari con cui comunque si cammina insieme.

Don Stefano Cucchetti (teologo, docente, cappellano del carcere di Bollate, esperto di bioetica) si è concentrato infine sul vivere fino alla fine della vita.

Il relatore ha messo in guardia dal non cadere in due tentazioni. La prima è quella di considerare vita e morte due concetti in antitesi perché viceversa il morire è un pezzo del vivere. La seconda tentazione è l’appiattimento dell’etica sul giuridico, con due conseguenze: non porsi la domanda sul senso (perché tanto c’è la legge) e sovraccaricare l’ambito giuridico.

E allora alla domanda su come vivere l’ineluttabile risponde: «Sapendo che nessuno può espropriarmi di quel momento perché è un pezzo della mia vita». Anzi, vivere la morte è anche un compito e l’esubero terapeutico e l’eutanasia sono, a suo dire, due vie di fuga.

Rita Maimone, già coordinatrice dell’Hospice di Busto, ha portato la propria esperienza personale, facendo presente quanto sia importante ascoltare il malato, dare un senso alla sofferenza, accompagnare. «La speranza – ha affermato – non è un’illusione, ma ti aiuta a pensare che c’è un domani o comunque aiuta ad arrivare vivi alla morte».

Anche Paola Mega (coordinatrice dell’Hospice della Provvidenza) ha riportato la propria esperienza tra i malati, raccontando le storie di alcuni di loro.

Mariagiulia Porrello

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