- 05 marzo 2025, 15:17

Quel Pizzul alpino commosso al Sacro Monte mentre invitava a costruire un mondo migliore: «Ha ricordato Nikolajewka con umiltà e condivisione fraterna»

Il bustocco Franco Montalto, a capo della sezione Ana di Varese, ha diffuso il discorso tenuto nel 2007 dal giornalista sportivo. Che aveva nella memoria l'immagine dei treni carichi di reduci dalla Russia, quando il nonno ferroviere lo portava alla stazione di Udine: le sue parole oggi più attuali che mai

Il bustocco Franco Montalto allora non era ancora alla guida della sezione Ana di Varese, ma quel giorno al Sacro Monte di 18 anni fa con Bruno Pizzul non lo dimenticherà mai. Come molte altre penne nere della nostra provincia. Tanto che oggi ha voluto subito diffondere l'articolo pubblicato sul giornale dell'Ana, che poi è il discorso tenuto dal giornalista. Pizzul era anche un bravo alpino e lo dimostrò in quella circostanza: il 26 gennaio 2007 fu lui a parlare per ricordare la battaglia di Nikolajewka, quella tragedia rimasta scolpita nella memoria. E parlò del «piacere e dell'onore» di portare quel cappello.

«Era una bella persona - racconta Montalto - Io andai al pellegrinaggio e mi ricordo bene il suo intervento. Quando uno è un alpino, lo è per sempre. E lui era un bravo alpino». Un personaggio famoso, «ma anche in quel contesto ha dimostrato la sua umiltà e la condivisione fraterna». 

Su Facebook, l'Ana ha commentato così: «Bruno Pizzul è andato avanti: un alpino, un amico della nostra Sezione, un uomo la cui straordinaria fama non aveva intaccato la semplicità e la vicinanza al suo Friuli e alla sua gente. Il 26 gennaio 2007 ci aveva onorato della sua presenza, rivolgendoci il discorso commemorativo della Battaglia di Nikolajewka, al termine del pellegrinaggio sezionale. Vi riproponiamo quel momento, in suo ricordo, con riconoscenza, stringendoci nella preghiera alla sua famiglia».

Pizzul esordì così, con tutta la sua profonda umanità (il testo può essere interamente letto nel giornale di Ana): «Non vi nascondo di essere commosso e un po' imbarazzato nel prendere la parola dopo questo nostro incontro, questa nostra condivisione così ricca di valori e così sentita con la celebrazione della Santa Messa contrappuntata dai canti alpini che sono tutti autentiche preghiere. Potrebbe essere davvero il suggello ideale di questo nuovo incontro qui a Varese sul Sacro Monte per ricordare Nikolajewka. Anche perché le parole finiscono per essere uno strumento inadeguato per dare qualcosa in più a quella tragica e gloriosa pagina della storia degli Alpini».

Nel riportare le testimonianze, il giornalista poi proseguì, emozionato ed emozionante: «Gli Alpini sfondarono e riuscirono a passare a Nikolajewka, un'impresa nella quale si sposarono l'eroismo militare, il senso dell'appartenenza, il senso del dovere, la voglia di tornare a casa. Gli Alpini gridavano i nomi dei loro Battaglioni ormai decimati ben sapendo che nel nome del Battaglione c'era la valle o il paese di provenienza quindi i commilitoni e i compaesani e dove speravano di tornare per trovare le madri, le mogli o gli amici». Poi quella confessione che scava ancora di più e lo porta indietro nel tempo: «Ho dentro di me un ricordo di quando ero bambino e mio nonno faceva il ferroviere alla stazione di Udine. Un giorno mi portò in stazione proprio mentre transitava uno di quei treni carichi di reduci dalla Russia e io porto ancora dentro di me l'immagine di quei soldati sofferenti, molti ancora vestiti in qualche modo, che venivano soccorsi dalle donne di Udine che portavano loro un bicchiere di vino e qualcosa da mangiare e loro ringraziavano e sorridevano, ma con un sorriso triste ben sapendo di aver lasciato laggiù tanti, troppi amici... Nikolajewka è questo, suscita in ciascuno di noi questi ricordi, ma non è che un grano di quel rosario glorioso e dolorosissimo che è la storia degli Alpini e nelle canzoni che abbiamo ascoltato c'è la storia delle tragedie, delle battaglie e del sangue che gli Alpini hanno lasciato su tutti i campi di battaglia». 

Nikolajewka, che è anche simbolo di tanti luoghi dove le penne nere hanno dato tutto per la loro gente. Ricordi che si fa fatica a lasciar emergere, perché anche il pudore è un sentimento alpino. Eppure coltivare quella memoria è doveroso.

Le parole pronunciate da Pizzul 18 anni fa oggi sono attuali più che mai: «Viviamo in un mondo difficile in cui il nemico non è fatto solo di uniformi, di armi di contrapposizioni: è una convivenza sociale in cui sono venuti progressivamente a cadere tutti o quasi i valori di riferimento, in cui non c'è più il senso dell'onestà, non c'è più il piacere della condivisione dei sentimenti. Io credo che essere Alpini ed essere in qualche modo degni di coloro che ci hanno preceduto, sia cercare di interpretare la nostra vita tenendo presente sia il loro esempio che la ricerca di quanto dobbiamo fare perché il mondo diventi un po' migliore, un po' più solidale, un po' più attento ai valori di quanto non sia». È proprio quest'ultimo concetto - un mondo che può, deve diventare migliore se diamo il nostro contributo - che viene ribadito dal suo discorso. Concluso da un ultimo grazie: dell'alpino, giornalista sportivo, persona perbene, Bruno Pizzul.

Ma. Lu.