Storie - 26 febbraio 2025, 07:12

Ottavio Missoni: la storia della sua Dakar 2025. E il pensiero per nonna Rosita

Ieri sera, Ottavio Missoni ha incontrato gli amici e gli appassionati di motorsport per condividere ricordi e aneddoti sulla sua avventura in Arabia Saudita, durante le due settimane di Dakar

Ieri, martedì 25 febbraio, gli spazi dell'UnipolSai Assicurazioni IFC, nel cuore e di Varese, ha ospitato un evento fuori dall'ordinario: Ottavio Missoni, imprenditore e pilota, ha raccontato la sua esperienza nella Dakar 2025, avventura che, a gennaio, lo ha portato in Arabia Saudita per due settimane.

L'inizio dell'avventura non è stato semplice, la mente di Ottavio non era nel deserto, ma a casa, con la sua famiglia, in particolare con la nonna Rosita, mancata il giorno prima della partenza della competizione. «Per un attimo, quando ho ricevuto la notizia, ho pensato anche di non partire e di rientrare a casa. La nonna é stata una figura importantissima per tutti, è stata sicuramente una fonte d'ispirazione per noi e chiaramente quello che quello che ha fatto».

Ma quando i motori chiamano, tu rispondi. anzi, la tua passione risponde. Una passione che Ottavio ha ereditato dal papà Vittorio e che è cresciuta, piano piano, insieme a lui. «Tutto nasce un po' per per scherzo, per gioco, quando vai con gli amici a fare qualche garetta la domenica. Quando poi ho provato l'esperienza di mettere le gomme sulla sabbia del deserto di Abu Dhabi è stato amore».

Un amore così grande da portare Ottavio a partecipare per due volte alla Dakar, la prima con la Honda Lucky Explorer di MV Agusta, la seconda con la Kove 450 Rally, « la prima moto completamente ingegnerizzata e costruita in Cina che va alla Dakar. Due anni fa, tutti ridevano di questo progetto, ora non ha nulla da invidiare alle moto europee. Quando mi hanno contattato da Kove, in realtà, mia moglie Enrica era già incinta del nostro secondo figlio, vai a dire a una che, ora della Dakar, sarebbe stata all'ottavo mese di gravidanza che sarei appunto partito per due settimane! Quindi le ho detto di aver ricevuto una proposta incredibile per un pilota amatoriale come me, quando ricapita che una squadra ufficiale ti chieda di partecipare come suo pilota?».

Un'occasione da non perdere, condivisa con il compagno di squadra Cesare Zacchetti.

L'edizione 2025, quindi, non ha rappresentato il suo esordio alla Dakar, ma lo é stato nella categoria Malle Moto, ovvero in totale autonomia, senza il supporto di meccanici durante le varie tappe.

«Alla Dakar convivono due tipologie di piloti differenti: colui che paga interamente la sua Dakar e diventa pilota ufficiale o Gentleman, ma viene assistito in tutti i modi, appena arriva spegne la moto e va a riposare, mentre io ho scelto di viverla come sfida contro me stesso, la sera quando arrivavo alla tappa prevista nessun meccanico avrebbe potuto assistermi, aprivo la mia cassetta e sistemavo la moto, poi mi aprivo la tenda, cercavo di fare tutto il più velocemente possibile per avere il tempo di riposare. La mia categoria, proprio per le difficoltà che comportava, era riservata a 25 piloti su 150. In più, dovevamo fare video e foto, se avevamo dolori dovevamo andare in infermeria, era tutto tempo tolto al sonno.  Avevo dei cambi dei cambi d'abito, ma erano in una valigia su un camion a un chilometro di distanza, quindi ho fatto tutta la gara con lo stesso completo. A un certo punto mangiavo mentre la fisioterapista mi massaggia la schiena e mi metteva la tecar portatile sulla schiena».

Un’esperienza, quella di Ottavio, che di certo richiede una grande preparazione anche dal punto di vista fisico e psicologico, «la Dakar è ancora prima che fisicamente è una gara di testa. Poi il fisico di conseguenza deve chiaramente essere allenato. Io fortunatamente partivo da una base già mediamente alta quindi non ho mai smesso di fare attività, ho dato un grand peso alla preparazione atletica gli ho dato un gran peso. Quando mi è arrivata la moto, a metà ottobre, ho fatto il rodaggio a Mornago, confrontandomi con i cinesi per alcuni aspetti tecnici. Ma la paura più grande non era relativa alla sistemazione della moto. Avevo paura di cadere, magari tieni ritmi per ti consentono di non rischiare troppo, la mia paura era compromettere la gara in qualche in qualche modo. Il livello dei piloti era molto alto, già il terzo giorno diverse moto erano fuori dai giochi, io stesso per una caduta ho rotto la strumentazione e mi sono trovato con il manubrio in mano».

Non sono mancati alcuni aneddoti relativi a momenti di cameratismo, di condivisione, tra compagni di squadra e non solo, «sicuramente noi italiani ci conoscevamo già tutti e quando sei insieme a dover compiere questo sforzo crei ancora più spirito di squadra».

La serata si è conclusa con un brindisi all’avventura di Ottavio Missoni e una domanda che non ha ancora una risposta: ci sarà una prossima Dakar?

Giulia Nicora