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Busto Arsizio | 28 gennaio 2025, 06:00

"i dì dàa merla" - i giorni della merla

Della Gioeubia ne abbiamo discusso. Giusepèn chiosa un solo appunto: "ghe 'ncoi chidogn cal cioma a Gioeubia in'oltra manea... cal mangia dul so sin'a candu l'e'nbona"...

"i dì dàa merla" - i giorni della merla

Della Gioeubia ne abbiamo discusso. Giusepèn chiosa un solo appunto: "ghe 'ncoi chidogn cal cioma a Gioeubia in'oltra manea ….cal mangia dul so sin'a candu l'e'nbona" (c'è qualcuno che chiama la Gioeubia in altro modo ….che mangi di suo, sino a quando ne ha). Vale pure il "tan co, tan zuchi etanti mamaluchi" (tante teste, tante zucche e …tanti mammelucchi).

Ora, ci dedichiamo ai "tre giorni della merla"; cosiddetti così per una lunga storia che "reclama" il freddo. Del resto, siamo in inverno e il freddo deve farla da padrone. Certo che "ul fregiu d'una oelta l'ea pissè gràm" (il freddo di una volta era più cattivo) e, dice Giusepèn, "l'u sentean anca i sturni" -vecchio modo di dire- (lo avvertivano e lo sentivano anche i sordi).

Non c'era l'effetto serra, i "divoratori di ossigeno" (navi, aerei, automobili e macchinari vari) non erano in grande numero; quindi, la temperatura invernale, presentava il conto … sottoforma di brina, nebbia, pioggia e intemperie varie. Detto che la Gioeubia di quest'anno, si celebra giovedì 30 gennaio, aggiungiamo il significato del "di scenen" (giorno della cenetta) che si consuma in casa di amici o al Ristorante, con piatto principale "ul risottu cunt'àa luganiga" (risotto con la salsiccia), ma pure con la casoela o con piatti di carne con contorno la polenta.

Tuffiamoci ora nei "tri dì dàa merla"; datati 29-30-31 gennaio. Per antonomasia, questi tre giorni sono classificati fra i più freddi dell'anno. Lo si evince dalla campagna spoglia, dagli arbusti (quelli rimasti e non "sacrificati" alla Gioeubia), dagli alberi spogli e dai rami "ossuti" e spogli che presentano un panorama quasi desolante …. tuttavia il Contadino classifica "di riposo" per il fatto che "anca a teera la podi durmi, par speciò a primavea" (anche la terra deve poter dormire, riposare, in attesa della Primavera).

Perché mai si dedicano i "tre giorni" a questo uccello? qui, ho sentito versioni differenti, da un Rione Bustocco a un altro. Ciascuno si dice "depositario della verità"; tuttavia, siccome il Dialetto Bustocco da strada, non possiede "canoni fissi", ma è …. interpretabile e trasmesso ai posteri verbalmente, io scrivo quanto ho appreso, quanto mi hanno insegnato, quanto il fatto della "merla" è stato trasmesso - ecco la mia versione ; quella "dul rion dùu Uspedò" (del Rione dell'Ospedale) che un tempo era "suta San Giuàn" (sotto San Giovanni) e attualmente è detto "da San Giusepu" che è sempre sotto la "giurisdizione" del Rione San Giovanni, ma, la chiesetta che affianca l'Ospedale, è diventata Parrocchia.

Si dice che, un tempo antico, i merli avevano le piume bianche. Una di loro, vagava per la campagna, in cerca di un ripostiglio presso i comignoli del camino o in un luogo asciutto e protetto dalle intemperie. L'animale, allo stremo delle forze, aveva trovato un giaciglio ben caldo, in un camino acceso e potè rifocillarsi. Tuttavia, proprio per la fuliggine che il camino emanava, non solo, il piumaggio bianco è diventato nero, ma anche il becco della merla, dapprima roseo o ….color-albicocca è diventato giallo - proprio com'è la configurazione degli attuali merli che hanno ereditato il nuovo piumaggio.

Anche qui, si consuma il "di scenen" a scelta o addirittura manifestato, in tutti e tre i giorni - lo stare insieme, non solo era uno svago che la gente comune si concedeva, ma era pure un piacere che stimolava il dialogo. Era anche un modo semplice per ribadire che  "i sciui in minga vochi, ma i puaiti in miga asniti" -a parte che quel "minga" non è Bustocco, ma è Milanese- ma, "i ricchi non sono vacche, e i poverelli non sono somari".

Chiaro che queste espressioni fanno parte del lessico di allora e, ciascuno difendeva il proprio ceto. Come a significare che chi può cena nei ritrovi ufficiali e chi "può meno" lo fa nelle mura di casa propria o in quella degli amici - sostanzialmente, dice Giusepèn "bona Gioeubia" e bòn i tri di dàa merla" - in ogni circostanza, "ul Nocino al ga oei" (il Nocino ci vuole).

Gianluigi Marcora

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