Quel fuoco inarrestabile che divorava tutto, ha colpito tutti. Ma allo stesso tempo è difficile rendersi conto qui delle ferite inferte a Los Angeles. Quello che accade, ce lo racconta Barbara Lamperti. La bustocca abita nella zona con la famiglia e a sua volta ha temuto di doversi allontanare dalla propria casa.
La paura e gli sforzi dei pompieri
«La situazione a Los Angeles è difficile da descrivere - ci dice - Una settimana fa tutta la città era sotto shock per la potenza e l'incontenibilità dei fuochi, noi stessi eravamo sul punto di evacuare quando l'incendio si stava avvicinando alla nostra zona. Una paura primordiale di non avere alcun controllo sulla situazione e di non riuscire a portare in salvo i propri cari. Fortunatamente tutti gli sforzi che i pompieri hanno fatto sono riusciti a contenere l'incendio e a limitare i danni».
Ma ciò ha significato - racconta ancora - «non radere al suolo altri quartieri. La devastazione avvenuta nei due quartieri colpiti (Palisades e Altadena) è praticamente totale». Sembra un bombardamento della seconda guerra mondiale, non è rimasto nulla, osserva amaramente.
«Case, scuole, negozi, uffici... tutto in cenere - dice ancora Barbara - Il sito di CalFire (https://www.fire.ca.gov) stima che più di 12 mila strutture sono andate in fumo. Conosco molte famiglie senza più una casa, molti bambini senza più una scuola. Sono a casa di amici, parenti, in alberghi o scappati fuori città con un carry-on che contiene tutto ciò che gli è rimasto. Si, è vero, in questi momenti ci si rende conto che le cose di maggior valore sono i nostri affetti e la nostra famiglia, se questi sono salvi, le altre cose si ricostruiscono ma immaginate il trauma di perdere tutto, di perdere oggetti legati a mille memorie, posti tramandati di generazione in generazione. Il trauma di non aver tempo se non per mettersi in salvo». Un dolore che è profondo e si amplia: «Il trauma di vedere non solo la propria casa ma la propria intera comunità distrutta. Il trauma di bambini che non torneranno più a casa loro e che per molti mesi non potranno vedere i loro amici perché sparsi qua e là in una città grande come l'intera Lombardia».
Ricostruire una città come Busto
Ricominciare, si può. Ma la portata di quanto si deve fare è immensa: «Un conto è ricostruire una casa, un altro ricostruire un'intera città come Busto (i quartieri a Los Angeles sono città medie italiane). A questo si aggiunge il senso d'ansia comune, sia di chi ha perso che di chi si è salvato. Come spiegare ai ragazzi che no, le fiamme sono sotto controllo e questa notte possiamo dormire tranquilli perché il famoso Amber Alert non suonerà più (per ora). Ci vorrà del tempo, questo è sicuro».
Ma c'è un'altra certezza che invece è confortante. Che fa affrontare tutto con una forza diversa e qui il racconto di Barbara ci commuove più che mai, ci ricorda la precisione e la passione che caratterizzavano gli scritti di suo zio, il giornalista Giovanni Rimoldi: «Quello che è sicuro, anche, è l'infinito cuore che la città sta dimostrando assieme alla volontà di rialzarsi. I centri di aiuto per le famiglie colpite non si contano: abiti, oggetti di prima necessità, cibo, acqua, medicine. Distretti scolastici vicini che aprono le porte ai bambini colpiti anche senza documenti (bruciati con la casa)».
L'allarme non è totalmente rientrato, a causa di venti forti e i fuochi non sono del tutto spenti: «Speriamo nella prossima settimana. Ne abbiamo di strada da fare, sia per riprenderci da questo disastro, sia per migliorare molte cose in California come la gestione delle risorse per prevenire gli incendi (assurdo che l'unico reservoir di acqua che avrebbe potuto salvare molte case a Palisades fosse stato prosciugato dalla città per lavori di manutenzione) o come l'equo accesso ad assicurazioni per disastri».