Il fascino della Befana, non tramonta mai. Specie da noi, quando la si chiama in causa alla fine delle vacanze natalizie. La ricordo tuttora, anche nel dialogo con Giusepèn. Lui, la ricorda come "a gambarussa" (la gamba rossa) che i vecchi di allora, tiravano in ballo per suscitare "terrore" fra i più scalmanati, per farli star buoni. Tentativo quasi "illecito" per intimorire i cosiddetti "vivè", quelli che avevano l'argento vivo addosso.
Poi, "gambarussa" o no, la Befana, sempre a bordo della fantomatica scopa (di saggina doc), portava la "calza" colma di leccornie, ai bimbi buoni, compresi gli scapestrati che dentro la loro vivacità, non riuscivano a contenere l'esuberanza di vita, dentro la delicatezza dei giochi e oltre il frastuono della tenera età. Della Befana "che vien di notte, con le scarpe tutte rotte" si sa poco e si è tramandato ancora meno. Da noi, s'è mai utilizzato "portare doni" il 6 gennaio, come invece si usa in altri luoghi d'Italia; tuttavia, quantomeno, la calza colma di leccornie, la si otteneva sempre.
Tanto da far cantare ai bimbi "viva, viva la Befana", ammirando la calza capiente che, perlopiù annoverava... cioccolatini, caramelle, torroni, giùsu (liquirizia), "i''ncai persagu" (qualche pesca) che non era un frutto, ma un dolce-rosa ovale che conteneva, in mezzo, marmellata buona.
Un pizzico di tristezza, la Befana, lo portava. Forse per il fatto che "a Pifanìa, tuci i festi l'à porta via" (l'Epifania, tutte le feste porta via) e si riprendeva il "duro lavoro" di andare a scuola, le lezioni che facevano soccombere i ragazzi, le inarrivabili raccomandazioni dei genitori, non più tolleranti alle marachelle che si compivano dalla vigilia del Natale sino (appunto) alla Epifania.
Da non sottovalutare l'incombenza dei "compiti per le vacanze", da tutti procrastinati a... domani, sino a un "domani" off-limits che sanciva il tempo da non sopraffare. Quante volte, al richiamo di mamma, rispondevo "a egnu" (arrivo) e quante volte seguiva una minaccia "mo, al Bambèn ga fo purtò via i regoi da Natòl" (adesso, a Gesù Bambino faccio portar via i regali del Natale) e, di fronte alla vellutata "minaccia" ci si arrendeva per completare i compiti.
Giusepèn ci mette del suo, per sancire la sacralità della Befana… "poa dona, l'àn fei insci bruta ca la sumea a 'n catorciu, ma senza denci e vistia malamenti, un po' da tema, ga oei metagala" (povera donna, l'hanno fatta così brutta che assomiglia a un rudere, ma senza denti e vestita malissimo, alla Befana occorre donare rispetto). Così, si "faceva pace" per quell'orrido look della Befana, per giunta, col freddo che fa, è costretta a viaggiare montando una scopa (sic).
Però, quel fascino-sordo, la Befana lo incuteva. In fondo, meglio una vecchierella (in fin dei conti) simpatica, piuttosto di avere una calza vuota o... addirittura, colma di carbone.
Per completare la filastrocca, si cantava: "la Befana vien di notte, con le scarpe tutte rotte … col vestito alla romana, viva-viva la Befana" - retaggi di una gioventù... ancestrale, coi dubbi "svelati" insieme a quelli che riguardavano "Gesù Bambino", dentro una fanciullezza svanita d'incanto e col rumore del destino a trasformare gli anni, in ragionamenti che implicavano la maturità, la responsabile tenuta dei valori morali e quel simpatico pensiero che rendeva simpaticissima, quella "nonna di tutti" che (per me) non ho potuto assaporare. Mamma era l'ultima di dieci figli e sua mamma, nonna Maria Brazzelli, era volata in cielo, quando avevo sei mesi - per nonna Luigia Azzimonti, mamma del mio papà, la sorte l'aveva chiamata nel 1943... tre anni prima della mia nascita.
Ora, visto che la Festa istituzionale è dedicata alla Befana, mi sento un po' "stordito" a non conoscere la... Festa del Befano, ma... va bene uguale! Soprattutto ora che sono nonno e... Befano non mi garba.