Il Natale si colora di luci. L'aria che si respira è allegra. I negozi si vestono a festa. La "fiaba" diventa realtà. Ci sono sorrisi in giro, che altrove è impossibile copiare. Tutti a evocare un ricordo, a ipotizzare un sorriso che viene. Regna la speranza. Non è comodo restare a far nulla. Bella gente, la nostra. Ora più che mai, sotto il sole delle comete, quando il cielo si prende il freddo che dilaga e tramuta le ansie in sorrisi, quasi a folgorare i cattivi pensieri. Il Natale di oggi, forse un tantino diverso dal Natale di ieri, porta dolcemente, in egual misura, il desiderio di compiere il bene. E' quasi una necessità. Un giorno bastavano due arance, il prosciutto e (magari) un cioccolato diverso dal solito, a creare armonia. C'era la neve. Di soppiatto, si andava al campo per una partita di pallone estemporanea. La mamma, tollerava. Poi subito a casa. Incombeva la Messa, cogli amici da trovare e lo scambio di auguri, dietro a una fetta di panettone che Don Giuseppe preparava per glorificare i suoi chierichetti. Mezzo bicchiere a testa, di spumante.
Ero uno di loro. A casa c'era il Presepe. Lo preparava il babbo sopra il buffet della cucina. C'era una tavola di legno-compensato, sopra la quale era predisposto il muschio, raccolto nel prato che ospitava il platano maestoso e il faggio che donava sicurezza solo a guardarlo. Quel profumo di verde-intenso penetrava nel respiro sino a farlo sobbalzare. Intanto statuine coi pastori festanti e le pecorelle sparse qua e là, mostravano l'intimità della capanna, con dentro Gesù Bambino, con mamma e papà vicini, dietro ai quali, il bue e l'asinello soffiavano calore. Il mio papà, predisponeva quel "quadro di empatia" con meticolosità certosina. Perfino il ruscelletto cadenzava la musica del "Tu scendi dalle stelle", mentre lo stupore di noi ragazzi veniva raccolto dai sorrisi delle mamme.Li vedevo tutti allegre, le persone. Lo ero anch'io, con loro.
Intanto, lo zio Giannino, predisponeva la "rustisciàa" che, per i non-Bustocchi era una specie di preludio al pranzo, rigorosamente dopo le 13 per quel giorno diverso da tutti gli altri dell'anno. Il pentolone era colmo di minuzie e di bargigli; di carne che si rosolava e che formava gli intingoli. Una ruota di pan-segrusu (pane di segale) veniva sbocconcellata da chi veniva a trovarci. La "rustisciàa" era per tutti e non c'era bisogno dei piatti, per assaggiare l'intingolo, autentico manicaretto di casa-Marcora. I pochi doni "portati da Gesù Bambino" avevano già deliziato l'attesa. Oggi, si reclama l'arrivo di Babbo Natale che ha preso il posto del Bambinello.
D'incanto, la mattina era trascorsa in maniera fugace e sorprendente - il pranzo mostrava "piatti" inauditi, mai visti durante l'anno ….. insalata russa, alici e sardine a contorno, sottaceti, carne di coniglio e di pollo, cucinate per lo stesso pranzo. Immancabile, il patè d'oca - un pezzo soltanto, in onore di papà. Lo andava ad acquistare la mamma, dopo che il babbo era andato a "far spesa" - lui si "dimenticava" di acquistarlo, : "l'è 'l mangiò di sciui" (è nutrimento per ricchi) e, nella sporta, quando mamma faceva l'inventario sulle cose da acquistare, mancava sempre il patè. E lei, per il suo uomo,, si cambiava d'abito e inforcava la bicicletta per andare dal Salumiere.
Quel "vezzo" m'è rimasto dentro. Quando assaporo la stessa quantità di patè d'oca riservata a papà, mi sembra di vedere il suo sguardo che si illuminava, mentre degustava la prelibatezza. E, il Natale proseguiva il suo corso, col pomeriggio tutti insieme (noi in famiglia e i parenti che abitavano la nostra stessa casa di ringhiera). Ogni tanto qualcuno intonava una canzone, del tipo "quel mazzolin di fiori"e tutti noi, bambini compresi, si faceva il coro. Il monte-premi a Tombola era di poche lire, che noi Bustocchi chiamavamo franchi, come la valuta francese, per non dimenticare che noi di Busto Arsizio siamo di derivazione Ligure e con "lu pagò centu franchi" si voleva dire "l'ho pagato cento lire" - la cena era sempre minuziosa e minuta: una pastina, un risottino per chi gradiva, magari un'altra fetta di panettone, ma non esisteva il "crepa panza" che si era sentito dire, da chi aveva sempre l'abbondanza. E prima di dormire, si passava in rassegna la giornata che fuggiva, con quel sapore di semplicità che si cuciva addosso e splendeva come la cima posta sull'albero, adornato di … .tutto un po' …. palle fluorescenti multicolori, statuine di cioccolato, neve di cotone e quella cima che ho ammirato almeno per 15 anni - poi non l'ho vista più. Immagino non si sia rotta. Forse l'hanno donata a chi non l'aveva. E un albero di Natale, senza la "cima"…. era poca cosa. So che c'è lo "zampino" di mamma. L'avevo sentita un giorno dire: "hanno un albero spoglio e niente addosso …. almeno con la cima, possono sorridere anche loro" e ho mai saputo chi fossero i "loro", ma un giorno, scoprii la cima che riposava sul tavolo,di una famiglia vicina, prima di essere impacchettata, contornata da ovatta per non farla rompere. Solo allora, smisi chi chiedere a Natale "e la cima dov'è?" senza ottenere risposta. Mi pervade un senso di nostalgia, pensando a quel "mio" Natale costruito soltanto sulla semplicità, cantando (in silenzio) quel "tu scendi dalle stelle" che a Scuola, in prima elementare, la maestra fece naufragare il mio "bel canto" e mi fece tacere per il mio …. stonare. Mi par di sorridere, ma non posso (non voglio) dimenticare. Giusepèn, l'ho fatto star zitto. Lui sa che è vero!