Il teatro strapieno, il pubblico competente e concentrato, gli applausi scroscianti (sottolineate le performance di tutti i protagonisti, ovazione per Airi Sunada – Cio Cio San), perfino le contestazioni, seppur minime: tutto concorre a decretare il grande impatto della Madama Butterfly (vedi anche QUI e foto in fondo) e, in generale, dell’Opera a Busto Arsizio. Più eloquenti di mille parole, i volti degli spettatori, occhi che faticavano a staccarsi dal palcoscenico. Dal quale Luca Galli, presidente del Teatro Sociale, consegnati gli omaggi floreali, ha descritto la storica realtà di via Dante come dotata di «…anima e spirito, quelli di Delia Cajelli, per travalicare i limiti e allestire spettacoli di questo tipo, che hanno bisogno di mesi di lavoro, per un pubblico ormai affezionato. Questo teatro è una casa sempre aperta. Anche grazie al Comune di Busto, che crede nella proposta e ci è vicino. Unico a esserlo. E lo dico, questo sì, con grande amarezza».
Al suo fianco, Manuela Maffioli, vicesindaco e assessore alla Cultura: «Il cuore di questo teatro batte per le donne e gli uomini che amano la cultura e la bellezza, che vogliono una città capace di superare se stessa». Tanta Busto, fra l'altro, sul palco, anche giovane: sottolineate le scenografie, opera degli studenti del Liceo Candiani, e il ruolo delle ex allieve del Crespi, impegnate come comparse.
E le contestazioni? La vicenda di Madama Butterfly (120 anni esatti dalla prima, a suo tempo, incredibilmente, un flop) ambientata a Nagasaki, ha ispirato un richiamo a vicende tragiche e ben più recenti, inimmaginabili per Giacomo Puccini come per i librettisti, ma quasi ineludibili per il pubblico di oggi, oltretutto immerso in un presente drammatico. «Fuori la bomba dall’opera» ha gridato uno spettatore. L’architetto Daniele Geltrudi: «Bene che ci sia anche questo. Vuol dire che il pubblico non è passivo, che si interroga, che non rimane indifferente. Meglio prendere atto di qualche critica che avere a che fare con spettatori numerosi ma poco attenti. In generale: l’arte che non graffia non è vera arte».