Si era occupato delle più delicate indagini antimafia, ma il 21 settembre di 33 anni fa venne ucciso in un agguato. Di lui, Rosario Livatino e della sua toga insanguinata si parla venerdì 17 novembre alle 20.45 al centro culturale San Magno di Legnano.
Con le testimonianze del presidente della sezione gip del tribunale di Genova, Nicoletta Guerrero e del procuratore di Avellino e vicepresidente del centro studi Livatino, Domenico Airoma, si ricostruisce l’attività di Rosario Livatino. Introduce il presidente del centro culturale San Magno Maria Teresa Padoan. Organizzano Ucid, Politics hub, la Famiglia Legnanese, Alleanza Cattolica e il centro studi Livatino.
Come Sostituto Procuratore della Repubblica Livatino si occupò fin dagli anni Ottanta di indagare non soltanto su fatti di criminalità mafiosa ma anche di tangenti e corruzione.
Livatino si occupò della prima grossa indagine sulla mafia agrigentina che sarebbe poi sfociata nel maxi-processo contro i mafiosi di Agrigento, Canicattì, Campobello di Licata, Porto Empedocle che si tenne nell'aula bunker di Villaseta nel 1987 e si concluse con quaranta condanne.
Nella sua attività si era occupato di quella che sarebbe esplosa come la Tangentopoli siciliana utilizzando tra i primi lo strumento della confisca dei beni ai mafiosi.
Venne ucciso il 21 settembre 1990 sulla statale Caltanissetta-Agrigento all'altezza del viadotto Gasena (in territorio di Agrigento) mentre si recava, senza scorta, in tribunale, per mano di quattro sicari assoldati dalla Stidda agrigentina, organizzazione mafiosa in contrasto con Cosa Nostra. Era a bordo della sua vettura quando fu speronato dall'auto dei killer. Tentò disperatamente una fuga a piedi attraverso i campi limitrofi ma, già ferito da un colpo ad una spalla, fu raggiunto dopo poche decine di metri e freddato a colpi di pistola.