È tornato il Komandante. E con lui anche un bagliore, improvviso, dell’esistenza di prima, fatta di umanità disordinatamente festante e sovrapposta, mischiata. Libera.
Ottantamila persone hanno partecipato ieri al concerto dell’Ippodromo La Maura di Milano: tra essi migliaia di varesini, che in queste ore stanno “intasando” la nostra mail di redazione con foto e video dell’evento. Anzi, del rito.
Officiante Vasco Rossi, ancora qua (eh già) a rendere un semplice numero quel 70 scritto sulla carta di identità: sotto di lui, in una distesa che l’occhio a un certo punto perde nella sua grandezza, il popolo degli adepti. Uno spettacolo nello spettacolo: gente che del Blasco conosce persino la geografia dei nei, gente che ogni canzone non solo sa come cantarla, ma anche come annusarla, interpretarla con i gesti, farsela scivolare dentro. Gente in astinenza da tre lunghi anni.
Tre anche le generazioni (forse due e mezzo ed è questo l’unico pensiero cupo di serata: noi “anta” abbiamo ripreso a respirare uno dei profumi più intensi della vita sociale, quello di un concerto…Quando lo faranno anche i giovani? Sanno e sapranno mai di cosa stiamo parlando?) assiepate l’una sull’altra, una scaletta di 28 chicche (mai abbastanza) e un cielo nero nero da cui però, una volta che il rocker di Zocca sale sul palco, non scende quasi una goccia. Pure Giove si è inchinato al ritorno del Komandante.
Da tregenda l’avvicinamento, piuttosto: mentre parte degli 80 mila intasava ogni via di comunicazione della zona ovest della metropoli per assicurarsi un posto alla “messa vaschiana”, su Milano si scatenava addirittura un downburst. Risultato? Acqua a catinelle, grandine, vento. E poi, di conseguenza, vestiti inzuppati, erba fradicia, fango fino ai polpacci.
In una sola parola: vita.