«Mai come quest’anno festeggiare il 25 aprile, festa della Liberazione, ci porta a guardare al futuro con fiducia, sperando che anche noi si possa a breve arrivare alla liberazione da questa pandemia». Queste le parole con cui la dirigente scolastica dell’ISIS Facchinetti Anna Maria Bressan ha introdotto l’incontro Memoria Familiare, durante il quale Maria Zanardini e Renata Pasquetto hanno raccontato, guidate dal professor Cosimo Cerardi, la storia dei loro padri internati nei lager dopo l’armistizio del 1943.
Entrambe, nel portare la loro testimonianza, hanno spiegato come dopo la firma dell’armistizio dell'8 settembre 1943 alla maggior parte dei militari italiani fu data una scelta: o allearsi coi tedeschi o essere deportati. Tra i tanti che scelsero di non unirsi ai nazisti alcuni diventarono partigiani mentre altri si consegnarono al nemico per non mettere a repentaglio la sicurezza delle loro famiglie.
«Mio padre faceva parte dell’arma dei Carabinieri – spiega Maria Zanardini – e alla firma dell’armistizio decise di rifugiarsi in montagna per unirsi alla resistenza. Ricevette, però, la lettera di un suo superiore che gli fece capire senza tanti giri di parole che se l’avesse fatto ci sarebbero state gravi ritorsioni nei confronti di mia nonna e delle mie zie, e ciò lo portò a cambiare idea e a consegnarsi ai tedeschi». Consegnarsi era sinonimo di deportazione, e moltissimi soldati e ufficiali italiani dopo il ’43 finirono nei campi di concentramento, dove furono sottoposti al lavoro coatto, spesso nell’industria bellica, che comportava abusi e privazioni costanti. «Nonostante si trattasse di fatto di prigionieri di guerra – prosegue Maria Zanardini – la Convenzione di Ginevra non fu mai rispettata; i tedeschi si trinceravano dietro il fatto che non si trattasse di prigionieri, ma di internati militari italiani, e questo fece sì che le condizioni di vita e di lavoro a cui furono sottoposti fossero disumane. L’unico modo di sfuggire alla fame, alla fatica e alle condizioni di vita insostenibili era firmare l’adesione alla Repubblica Sociale Italiana, ma quasi nessuno scelse di farlo».
In una situazione analoga si trovò anche il padre di Renata Pasquetto, ufficiale dell’esercito italiano che si consegnò ai tedeschi in Albania dopo la firma dell’armistizio: «Consegnarsi era l’unica soluzione – racconta la figlia – la resistenza armata era impossibile, avevano solo un’arma a testa, e unirsi ai partigiani era fuori discussione, poiché i tedeschi costringevano gli italiani a bruciare per rappresaglia le case di chi faceva parte della resistenza».
Anche in questo caso i soldati italiani vennero caricati sui treni e mandati in un lager: «Mio padre mi raccontò che il vagone fece sosta per qualche ora alla stazione di Varsavia dove molte donne ferme sui binari e scapparono come videro il convoglio. Credette che fuggissero per paura, invece poco dopo tornarono con le borse cariche di pane; avevano dato fondo alle loro tessere annonarie per acquistare del cibo da lanciare ai militari, un gesto di generosità che non dimenticò mai». Rinchiuso nello stesso lager di Giovannino Guareschi, rifiutò sempre di unirsi al nemico, e finì a lavorare in una fabbrica bellica dove, con l’aiuto dei suoi compagni, riuscì a sabotare l’80% della produzione degli alettoni che dovevano essere montati sugli ordigni costruiti con lo scopo di essere sganciati su Londra.
«Nonostante le condizioni in cui si trovavano, mio padre e i suoi compagni non persero mai la speranza, la voglia di imparare, di trovare la maniera di svagarsi – conclude Renata Pasquetto – nonostante tutto riuscivano a studiare, avevano messo su un gruppo di recitazione e si erano costruiti anche una radio. Le guardie fuori dai cancelli erano state programmate per non pensare, per non provare nulla, per eseguire ciecamente gli ordini e nient’altro. Loro invece avevano imparato a ritrovare la forza per sognare, pensare, imparare e confrontarsi. Quindi vi chiedo, ragazzi, secondo voi chi era veramente libero? A voi giovani auguro di essere sempre, in ogni momento e in ogni situazione della vostra vita, liberi come è riuscito ad essere mio padre anche se si trovava dentro un lager».
All’incontro hanno partecipato il sindaco, Mirella Cerini, l’assessore Gianni Bettoni, la consigliera delegata Rosangela Olgiati, la presidente provinciale di Anpi, Ester De Tommasi, e la presidente Anpi di Castellanza Ivana Sonna .