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Economia | 01 aprile 2021, 14:49

Confartigianato Varese guarda al futuro: «Lavoro, formazione e credito i temi decisivi»

L'associazione ha presentato questa mattina lo studio "Imprese, Mercato del lavoro e sfide future", un focus sulla provincia di Varese. Il presidente Galli: «Vogliamo lanciare un messaggio positivo nonostante le criticità, fondamentale il ruolo delle piccole e medie imprese»

Confartigianato Varese guarda al futuro: «Lavoro, formazione e credito i temi decisivi»

I numeri contenuti nella prima edizione di “Imprese, Mercato del lavoro e sfide future – Focus provincia di Varese”, l’analisi condotta dall’Osservatorio Mpi Confartigianato Lombardia per Confartigianato Varese, presentata questa mattina dall'associazione, non sono positivi per l'economia del nostro territorio. Eppure il messaggio lanciato dagli artigiani vuole essere di fiducia nel futuro, perché se è vero che ci sono tanti problemi sul tavolo, è altrettanto vero che esistono anche le soluzioni. 

L'analisi di Confartigianato parte da un paradosso, che non è una novità assoluta per il mercato del lavoro della provincia di Varese dove convivono due fenomeni discordanti. Il primo riguarda il tasso di disoccupazione dei giovani (fascia d’età 15-29 anni), in crescita tra 2019 e 2020 del 3,5%. Il secondo è riferito alla forte difficoltà delle Pmi nel reperire professionalità adatte ai propri bisogni, in salita di 4,5 punti percentuali nel 2020 rispetto al 2019. «Siamo in presenza di un fenomeno noto, lo skill mismatch, vale a dire il divario tra le competenze richieste e disponibili sul mercato» ha commentato il presidente di Confartigianato Imprese Varese Davide Galli. Sullo sfondo ci sono i numeri dell’occupazione: meno 645 nuove imprese registrate nel 2020 rispetto al 2021; sofferenza per settori storici del nostro tessuto economico a cui aggiungere il calo dell’occupazione: bruciati cinquemila dipendenti e quattromila lavoratori autonomi in un anno in provincia di Varese (perlopiù concentrati nei settori servizi e manifatturiero).

«Anche davanti a queste criticità evidenti vogliamo lanciare un messaggio positivo - ha proseguito Galli - la campagna vaccinale sembra stia cominciando a marciare e si annuncia qualche segnale incoraggiante per fine anno per quanto riguarda Pil e occupazione. Certo, le imprese che hanno innovato o stanno innovando vanno meglio e possono guardare al futuro con maggiore serenità». In questa fase diventa più che mai strategico dire quali sono i mestieri più ricercati e più difficili da trovare: capacità matematiche e informatiche (livello basso e alto); competenze digitali (livello basso e alto), capacità di applicare le tecnologie 4.0 (livello basso e alto); attitudine al risparmio energetico (competenza in gran recupero, ma sulla quale occorre creare una cultura aziendale solida). Qualche numero per indicare il peso delle difficoltà incontrate dalle Pmi: la quota di entrate di personale con competenze digitali di base complesse da reperire è salito nel 2020 di 6,4 punti rispetto al 2019. Gestione e applicazione di tecnologie 4.0 ha registrato un gap in salita di 6,6 punti. A seguire le green skills, fino ad oggi rimaste nell’ombra (+3.2). Più sale la richiesta di professionalità, più si diventa quasi impossibile trovarle sul mercato (anche per la concorrenza con l’estero e le industrie).

«Dobbiamo intervenire con percorsi di riqualificazione su scala provinciale di giovani e meno giovani non occupati e investire su una nuova formazione scolastica, che tenga conto delle competenze che ci permetteranno di lavorare su nuovi mercati e con nuove strategie nei prossimi anni» ha incalzato Galli. «Inoltre, sul fronte assunzioni dobbiamo tagliare la burocrazia: il settore pubblico e quello privato non possono viaggiare a diverse velocità». Confartigianato consegnerà a università e all'ufficio scolastico provinciale il risultato dell'indagine. «Il sistema della formazione – tecnica, professionale e Its – va sostenuto oggi più che mai» ha aggiunto il presidente dell'associazione che ha parlato di tre livelli di formazione: basica per chi andrà a lavorare in produzione, poi quella per i quadri e infine quella di alta ingegneria.  

Stesso discorso vale per le competenze digitali, dove si registra una crescita di 15,4 punti percentuali della quota di Pmi che, dall’avvio della pandemia, ha attuato (o prevede di attuare) investimenti su uno o più strumenti digitali. In testa figurano internet ad alta velocità, cloud, mobile, big data, analytics, sicurezza informatica, strumenti software di impresa 4.0 per l’acquisizione e la gestione dei dati a supporto delle decisioni, della progettazione e dell’ingegnerizzazione dei prodotti/servizi, dell’analisi dei processi e di tecnologie di comunicazione machine-to-machine. Altro dato rilevante: nel 2020 le imprese con meno di 49 dipendenti della provincia di Varese hanno richiesto abilità digitali di base (utilizzo delle tecnologie internet e capacità di gestione di strumenti di comunicazione visiva e multimediale) a 15.380 delle entrate programmate, pari al 59,7% del totale. «Siamo in molti casi di fronte a investimenti che delineano strategie tipiche delle fasi iniziali della trasformazione digitale a dimostrazione di quanto diciamo da anni, ovvero che il Piano Impresa 4.0 non ha intercettato compiutamente le piccole, che ora vanno condotte oltre i primi step, affinché possano iniziare a innovare anche la struttura organizzativa e i modelli di business». Ne va della capacità competitiva. Sul fronte della transizione ecologica/economia circolare, Galli chiede di non commettere i medesimi errori di sovrastima della base di partenza compiuti sul fronte della digitalizzazione. «I soldi del Next Generation Eu arriveranno rapidamente quando si sbloccherà l’iter del Pnrr e non possiamo non aver strategie per calarli a misura di Pmi: serve una azione che eviti che tutto vada in capo alle grosse industrie».

L’altro capitolo fondamentale per Davide Galli è relativo al credito, con i prestiti alle Pmi che nel 2020 hanno segnato un balzo in avanti su spinta dei decreti “Cura Italia” e “Liquidità”: +10,9% a fine 2020 nel confronto con il 2019. Un trend in controtendenza rispetto agli anni precedenti, sempre preceduti dal segno meno. In soldoni, le domande arrivate al 16 marzo 2021 dalla provincia di Varese sono state 27.556, vale a dire 15.414 per operazioni fino a 30 mila euro (55,9%) e 12.142 per operazione sopra i 30mila euro. Sono stati erogati prestiti per 2 miliardi e 247 milioni di euro: per operazioni fino a 30mila euro l’importo finanziato è stato di 307 milioni e quello per operazione sopra i 30mila euro di un miliardo e 940 milioni (importo medio 81.555 euro). «Numeri che non devono trarre in inganno: possono nascondere una doppia lettura. Da un lato abbiamo imprese che si sono indebitate per effettuare investimenti sia in ambito green che digitale e formativo, per uscire dall’imbuto Covid rinforzate e rinnovate – dice il presidente di Confartigianato Varese – Dall’altra, ci sono aziende costrette a indebitarsi per sopravvivere, alle quali l’indebitamento aggravi bilanci già compromessi».

«Aggiungo un altro fattore: in questa fase molta della liquidità è rimasta nella pancia delle banche, che hanno alleggerito i loro crediti deteriorati con la controgaranzia del Mediocredito Centrale. Ora dobbiamo fare in modo che atterri nelle imprese: quindi, sì alle garanzie pubbliche ma con un vero monitoraggio sull’impiego». «Inoltre, non è questo il momento di “staccare la spina” ma di avviare politiche industriali attraverso le quali accompagnare le aziende in difficoltà a un cambiamento anche radicale, come ha detto il presidente Draghi insediandosi al Senato». Inoltre, un sostegno pubblico nella fase transitoria – secondo Galli – servirebbe, specie da quando (a giugno) andrà a chiudersi la moratoria sui debiti, «rischiando di creare posizioni di default che dobbiamo evitare». 

Matteo Fontana

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